Siete voi stessi sui social? Le statistiche dicono di sì
Uno studio pubblicato nel 2011 dal dipartimento di psicologia della University of Texas dimostra come, al contrario di quello che possono pensare in molti, sono di più quelli che dicono la verità su sé stessi nel web che quelli che mentono spudoratamente.
C’è chi va ancora più lontano e dice che siamo addirittura più sinceri nelle reti sociali che dal vivo. Certo, anche se i nostri pensieri e azioni sono sempre più pubblici, non possiamo fare a meno di sentire che il mezzo virtuale ci regala una sorta di sicurezza, di anonimità o comunque di filtro che rende un po’ meno reali le affermazioni che realizziamo e che molte volte non saremmo capaci di fare a voce alta.
Esiste senza dubbio una concezione (attenzione, sbagliata!), che quello che succede sulle reti del web non faccia parte della nostra vita “reale”. Commenti troppo spinti all’amica della moglie, dichiarazioni di amore al compagno di banco, sfoghi verso colleghi e capi sono lanciati sulle onde ma arrivano effettivamente alle persone, reali, che a loro volta usano il mezzo virtuale come filtro attraverso il quale si guardano le relazioni,
Ma perché questo senso di sicurezza? Cosa ci spinge a scrivere su quella casellina parole che, mancante lo strumento, non avremmo mai detto? Cosa ha questo mezzo che fa sì che il contenuto rivesta una natura tutta diversa?
Il fenomeno è conosciuto come Online Disinhibition Effect, e ha le radici sull’anonimità che una volta forniva il web e la creazione di persone “virtuali”, ma anche sulla natura dei rapporti già non tra gli uomini di oggi ma nella formazione delle relazioni nelle varie specie. Da sempre il trovarsi uno di fronte all’altro è stato visto come opposizione e non tanto come associazione, soprattutto tra individui (o animali) con legami deboli o inesistenti. Il web funziona come una sorta di velo che copre gli occhi minaccianti o critici degli altri e che crea l’illusione di un depuratore di azioni che, a nostro avviso, ridurrebbe le conseguenze di ogni offesa.
Nello stesso modo che nei confessionali il prete è separato da una griglia che impedisce l’identificazione, che diamo risposte più oneste alle indagini online che a quelle telefoniche e che scrivevamo sincere letterine per esprimere finalmente il nostro amore, la mancata presenza di un soggetto equivalente ci rende più liberi e disinibiti, perché il mezzo ci fa sentire che la situazione non è un contesto di confronto ma un modo di parlare anche a noi stessi.
Al fine di vedere se alcuni dei risultati dello studio, che tratta anche le abitudini delle persone sul web in base alla loro personalità, per confrontare appunto la personalità reale con quella virtuale si verificano anche per gli utenti social in Italia, vi propongo una breve indagine completamente anonima da condividere se avete voglia: i risultati li pubblicheremo prossimamente per così scoprire se, anche nel Belpaese, le abitudini su Facebook sono rivelatrici della nostra persona.
A presto!
Alba