Business in Africa: 1,2 miliardi di opportunità

Il boom delle commodity potrà essere finito, e gli ostacoli al business sono dappertutto. Ma il market da 1,2 miliardi di persone dell’Africa ha ancora enormi promesse, secondo Daniel Knowles.
PER DARE UNO SGUARDO al boom africano al suo culmine, fai come ha fatto una moltitudine di investitori stranieri e vola ad Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio. I visitatori giungono in un salone con l’aria condizionata dove un caffè in stile francese vende birre, snack e riviste. C’è pubblicità dappertutto, per aziende di telefoni cellulari, biglietti aerei di prima classe ed un nuovo Burger King. Il taxi che porta in città attraversa con leggerezza un ponte a pedaggio a sei corsie. Sulla strada per il Plateau, il nucleo commerciale della città, gru, nuovi edifici, e cartelloni pubblicitari fanno a spintoni per avere un po’ di spazio nel panorama. Nella laguna, terra rossa si accumula dove è in costruzione l’ennesimo ponte.
Solo cinque anni fa, la Costa d’Avorio sembrava una causa persa. Dopo essere stato sconfitto in un’elezione alla fine del 2010, l’allora presidente Laurent Gbagbo si rifiutò di abbandonare la carica. Il leader dell’opposizione vincente e ora presidente Alassane Ouattara montò un’offensiva militare per costringere il Signor Gbagbo ad andarsene. Le truppe francesi sequestrarono l’aeroporto per evacuare i propri cittadini (il paese era un tempo colonia francese). I manifestanti furono uccisi a colpi di arma da fuoco dalle truppe, le imprese straniere furono saccheggiate e gli attivisti per i diritti umani avvertirono delle fosse comuni che stavano venendo scavate.
La Costa d’Avorio ha ancora problemi, come dimostra l’attacco terroristico in marzo che ha ucciso 22 persone. Ma la sua economia è la seconda in più rapida crescita in Africa (dopo l’Etiopia, che è molto più povera), espandendosi di quasi il 9% l’anno. Gli investimenti stranieri si stanno riversando nel Paese. Oltre al Burger King, Abidjan ora ha un supermercato Carrefour, un nuovo birrificio Heineken, un panificio Paul, e un’abbondanza di nuove infrastrutture. Ministri vestiti bene ed educati in Francia spiegano in perfetto inglese ciò che hanno in piano di fare per “aprire le porte”, “incrementare la facilità di fare affari”, e “far crescere la classe media in maniera sostenibile”. Hotel costosi, come il nuovamente aperto Ivoire da 300 dollari a notte, sono al completo; i loro bar sono pieni di persone agiate che concludono affari. I tre terminal portuali del Paese, il cui maggiore sta venendo ingrandito dall’impresa industriale francese Bolloré, lavorano a piena capacità importando autoveicoli ed elettronica ed esportando cacao, caffè, e anacardi.
Questa è l’Africa delle riviste di business e delle pubblicità delle banche: un continente che sta crescendo a ritmi prodigiosi e che sta creando nuovi e redditizi mercati per le imprese multinazionali. Ma Abidjan ha anche tanti promemoria del fatto che tutto questo sia già successo in passato. Per tutti i nuovi edifici che vengono costruiti, il suo impressionante panorama è ancora dominato dal modernismo di cemento in rovina degli anni Sessanta e Settanta. Le strade saranno pure nuove, ma i taxi arancioni che le solcano sono ancora delle antiche Toyota Corolla dagli scarichi pestilenziali, resti di un boom precedente. Nel corso dei due decenni successivi all’indipendenza dalla Francia nel 1960, la Costa d’Avorio ha goduto di un miracolo economico. Poi, piuttosto bruscamente, il prezzo del cacao e del caffè si inabissarono, e il boom sfumò tanto in fretta quanto era iniziato.
Motivi per cui preoccuparsi
La paura più grande degli investitori di oggi in Africa è che potrebbe star succedendo di nuovo. Nel Paese vicino di casa della Costa d’Avorio, il Ghana, migliaia di lavoratori statali hanno protestato negli ultimi due mesi contro l’incremento del costo della vita. Il Ghana si affida al petrolio e all’oro, entrambi i quali hanno visto una caduta di prezzo, assieme al cacao. Ciò, assieme a poderosi indebitamenti da parte del governo, ha causato una crisi. Un dollaro statunitense può comprare ora 4 cedi, la valuta locale; nel 2012 ne comprava meno di due. La crescita si è dimezzata rispetto al 2014, e il Ghana opera con un deficit di bilancio del 9% del PIL e un deficit delle partite correnti del 13%.
Stando alla Banca Mondiale, durante lo scorso anno fiscale la ragione di scambio è deteriorata in 36 dei 48 Paesi dell’Africa subsahariana, in quanto i prezzi delle loro esportazioni di materie prime sono scesi in relazione al costo delle importazioni, in gran parte beni lavorati. Quei 36 Paesi costituiscono l’80% della popolazione del Continente e il 70% del suo PIL. Otto Paesi, inclusi due giganti quali Angola e Nigeria, derivano più del 90% dei loro proventi di esportazione dal petrolio, che è recentemente sceso molto al di sotto del prezzo necessario ad attirare nuovi investitori. La crescita in tutta l’Africa subsahariana è scesa al 3,7% nel 2015, molto al di sotto del 6.4% est-asiatico, e del tutto insufficiente a creare abbastanza posti di lavoro per il continente con la popolazione più giovane e in più rapida ascesa al mondo. La Banca Mondiale si aspetta che incrementerà di nuovo, ma solo al 4,8% nel 2017.
Aziende che hanno allegramente preso prestiti dagli investitori internazionali nel corso degli ultimi anni si sono ora trovate chiuse fuori dai mercati. Lo stock di obbligazioni sovrane in essere è salito da meno di un miliardo di dollari nel 2009 sino ad oltre 18 miliardi nel 2014. Se la crescita continuerà ad un ritmo sufficiente, ciò potrebbe essere gestibile. Ma se si fermerà, tassi d’interesse del 10 o più percento sulle obbligazioni denominate in dollari renderanno difficile il rifinanziamento.
Le due maggiori economie del Continente, Nigeria e Sudafrica, sono già in grosse difficoltà. I motivi sono diversi, ma entrambe hanno sofferto a causa della caduta dei prezzi delle commodity in aggiunta a delle gestioni economiche atroci. Il Fondo Monetario Internazionale è tornato, anche se non molto amato in Africa, fornendo un prestito di un miliardo di dollari al Ghana e preparandone un altro per lo Zambia. Alcuni temono un ritorno al 2000, quando questa testata descrisse l’Africa come il “continente senza speranza”.
E tuttavia, i prosperi centri commerciali di Nairobi ed i vitali porti di Abidjan mostrano che ci sono tante ragioni per rimanere ottimisti. Le condizioni economiche si sono aggravate, ma questo è un continente molto diverso rispetto a due decenni fa, quando le truppe di otto stati Africani stavano combattendo nel solo Congo. Ci sono ancora guerre in corso nel Sud Sudan, in Somalia, nel Mali e nel nord della Nigeria, e la violenza gorgoglia in posti come il Congo orientale, la Repubblica Centrafricana e il Burundi. Ma parlando in generale, la maggior parte dell’Africa subsahariana è ora pacifica. Pare sempre più difficile che le elezioni risultino in dei conflitti, anche se generalmente si concludono in rielezioni, e sempre più spesso in terzi mandati incostituzionali. I governi che salgono al potere sono ancora spesso corrotti ed inefficienti, ma molto meno apertamente rispetto a quelli di despoti della Guerra Fredda come Mobutu Sese Seko nel Congo o Jean-Bedel Bokassa nella Repubblica Centrafricana.
Gli 1,2 miliardi di persone dell’Africa sono inoltre una grande promessa. Sono giovani: a sud del Sahara, la loro età media è ovunque sotto ai 25 anni eccetto che in Sudafrica. Sono educati meglio che mai: il tasso di alfabetismo tra i giovani eccede ora il 70% ovunque tranne che in una fascia di stati desertici lungo il Sahara. Sono più ricchi: nell’Africa subsahariana, la proporzione di persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno è scesa dal 56% nel 1990 al 35% nel 2015, secondo la Banca Mondiale. E malattie che hanno devastato l’aspettativa di vita e la produttività stanno venendo sconfitte—gradualmente nel caso di HIV e AIDS, ma in maniera spettacolare nel caso della malaria. Alcuni di questi miglioramenti appaiono modesti, ma dato il fatto che gli standard di vita in tutta l’Africa sono scesi durante i 30 anni successivi all’indipendenza, essi sono abbastanza radicati da rivelarsi duraturi.
E nonostante tutte le economie dominate dal petrolio e dai metalli, come quelle della Nigeria e del Congo, il boom si è espanso oltre le risorse naturali. I telefoni cellulari hanno trasformato il commercio attraverso l’Africa, ed ora gli smartphone e i feature phone (a metà tra stupidi e smart) si stanno affermando. Nel 2014, l’anno più recente per il quale siano disponibili dati, il 27% dei Nigeriani è stato possessore di smartphone. In molti paesi africani, l’infrastruttura mobile 4G è l’unica cosa che funziona bene, e funziona almeno bene quanto in paesi più ricchi, e molto si può costruire su di essa. Quelli che iniziarono come sistemi di denaro mobile, quali M-Pesa del Kenya, si stanno ora diversificando in conti bancari, conti risparmio, prestiti ed assicurazioni. Ciò a sua volta sta aiutando le persone ad uscire dalla povertà e a investire nel proprio futuro.
Questo report speciale sosterrà la tesi che nonostante una serie di profondi e radicati problemi, le imprese africane offrano anche delle speranze. È chiaramente rischioso dare giudizi generalizzati riguardo ad un intero continente con 54 Paesi e 2.000 lingue. Questo rapporto si ispira a visite in vari paesi dell’Africa subsahariana, ma in particolare quattro: Sudafrica, Nigeria, Kenya, e Costa d’Avorio; tutti costieri, urbanizzati, e relativamente ricchi. Essi non rappresentano di certo l’Africa nella sua interezza, ma il vostro corrispondente li ha scelti perché illustrano ognuno un aspetto differente del business africano. Le aziende di cui si scrive non hanno ancora trasformato il Continente, ma dimostrano che le imprese africane sono capaci di un’innovazione straordinaria—se solo le si lascia libere.
Articolo originale su Economist.com.